La comunicazione del Presidente CAI della Regione Toscana In evidenza
L’interesse per la montagna è il motivo fondante della nostra associazione.
Da 160 anni siamo presenti sia come attività scientifica che come frequentazione portando il nostro contributo di conoscenza a disposizione di tutti. Abbiamo avuto il piacere di confrontarsi spesso con la Regione e con numerose amministrazioni su molti temi, condividendo iniziative e proposte da voi apprezzate, e auspichiamo che ci sia ancora, in futuro, occasione per farlo. Siamo la più antica associazione nazionale, con oltre 330.000 soci, e con 36 presidi territoriali e circa 14.000 soci siamo presenti anche su tutto il territorio regionale. Siamo molto attivi nella formazione ad ogni forma di accesso alla montagna, sulla diffusione di cultura legata alla montagna e alla tutela del suo ambiente naturale, con attività rivolte non solo ai soci ma aperte anche a migliaia di simpatizzanti e alle scuole di ogni ordine e grado, con servizi che vanno dalla manutenzione dei sentieri alla montagna-terapia e alla terapia forestale, dall’alpinismo all’escursionismo, dall’esplorazione e conoscenza dei territori alla loro storia, contribuendo quindi a formare una coscienza ambientale corretta e più consapevole.
La nostra visione di conciliazione fra tutela ambientale e tutela del benessere economico e sociale delle popolazioni residenti si ispira ad un equilibrio fra le vecchie e nuove fasi di crescita economica, che ricercano e promuovono alternative di sostenibilità ambientale.
Nella nostra Regione le cose non stanno procedendo, a nostro parere, nella direzione che sarebbe opportuna, non viene dato ascolto a pareri scientifici indipendenti e disinteressati, al fine di assumere decisioni che hanno rilevanti impatti ambientali.
Riepiloghiamo, più sinteticamente possibile, lo scenario che rappresenta alcune situazioni già presenti e di progetti, alcuni già approvati o finanziati, per invitarvi a fare alcune riflessioni auspicando di ricevere attenzione e offrendo la nostra disponibilità ad ogni approfondimento. Vorremmo che la politica regionale si ponesse, e imponesse, positivamente rispetto alle falsità o imprecisioni, interessate, troppo spesso messe in campo da imprenditori che curano esclusivamente i loro affari a scapito della comunità usando l’ambiente che, nel suo complesso, è un bene insostituibile e irriproducibile, che appartiene a tutta la comunità.
Analizziamo brevemente le situazioni che appaiono più critiche:
1-Alpi Apuane
Ci chiediamo, e vi chiediamo, ormai da anni, come si faccia ad accettare la distruzione progressiva di queste montagne palesando come motivo la pregiata qualità del marmo, quando invece la produzione prevalente della attività estrattiva è quella del carbonato di calcio, che raggiunge l’85% della produzione e che andrebbe fortemente ridimensionata, in
quanto attività che non apporta alcun valore aggiunto ai territori locali, né da un punto di vista occupazionale, né tanto meno da un punto di vista della lavorazione in loco. La percentuale di marmo di Carrara destinata a usi artistici è quasi insignificante. La quota in assoluto maggiore di marmo grezzo viene esportato in diversi paesi del mondo. Il marmo lavorato – che ha un valore alto – è destinato a specifici mercati di nicchia e il carbonato di calcio, invece, rappresenta una categoria a sé, che esce dal territorio sotto la voce prodotti chimici.
Sul territorio rimangono solo le esternalità negative dell’attività estrattiva.
Si sceglie di convivere con i danni conseguenti ai residui della lavorazione (marmettola) che inquina i fiumi e le sorgenti, arrecando un danno ambientale non quantificabile al bene primario “Acqua”, così prezioso in questo particolare periodo di siccità dovuto al cambiamento climatico in atto, e facendo così pagare alla cittadinanza i costi per rendere potabile l’acqua dell’acquedotto, come nel caso del Comune di Massa.
E ancora, la non corretta gestione dei ravaneti delle attività estrattive spesso costituisce un fattore di incremento del rischio alluvionale, come è stato dimostrato da perizie tecniche e come è purtroppo noto a seguito delle alluvioni che hanno più volte colpito il territorio della città di Carrara.
Per non parlare del fatto che all’interno del territorio del Parco Regionale delle Alpi Apuane si riattivano cave ormai chiuse da tempo, si tengono aperte e si rinnovano le concessioni alle circa 70 cave presenti nel Parco, con il subdolo equivoco delle cosiddette “aree contigue di cava”, aree in realtà interne e ricomprese a pieno titolo nei perimetri dell’area Parco.
Ancor più grave, si prorogano le pronunce di compatibilità ambientale anche alle imprese che hanno “sforato” il perimetro di lavorazione autorizzato, con danni irreversibili all’Ambiente. Le si sospende semplicemente dalla attività per un minimo lasso di tempo e sotto le mentite spoglie di un piano di ripristino ambientale (come mai si farà a far ricrescere ciò che è stato irreversibilmente tolto!!!) le si autorizza nuovamente a completare ciò che non hanno terminato in violazione della legge.
Il Piano Integrato del Parco non ha ancora visto la luce e comunque la proposta non rappresenta, come abbiamo già avuto modo di evidenziare in altre sedi, la proposta migliore che un Parco degno di questo nome poteva proporre. Ancora una volta gli interessi delle Amministrazioni Locali della Comunità di Parco nel modificare la proposta iniziale hanno dato priorità alle attività estrattive, che ben sappiamo rappresentano un introito per le casse comunali e la sopravvivenza per i Bilanci di piccoli comuni, ma questo a discapito della tutela e conservazione della biodiversità, degli habitat naturali, della tutela di flora e fauna, beni di tutti e indispensabili per tutti, non solo per chi di quella attività trae il proprio profitto imprenditoriale.
Va ricordato che l’altissimo tasso di disoccupazione nel territorio, il più alto in Toscana, dimostra come questa monocultura dell’escavazione sia frutto di una scelta politica sbagliata, che porta beneficio a pochi e disperazione a molti. E’ indubbio, per noi, che si debba cambiare, ridimensionando l’escavazione e valorizzando altre attività. E che questo sia un compito che la Politica debba affrontare seriamente e senza ulteriori rinvii temporali.
Il Piano di Indirizzo Territoriale PIT con valenza di Piano Paesaggistico approvato nel 2015, aveva provato nella sua versione iniziale a prevedere una graduale dismissione delle attività estrattive di quelle cave intercluse nel territorio del Parco, ma tutti ricorderanno come il Piano definitivamente approvato si sia allontanato da questa scelta di sostenibilità e di approccio e riconversione di attività non ulteriormente sostenibili.
Attualmente la situazione si sta aggravando ulteriormente.
L’ultimo caso è inquietante: il consiglio comunale di Seravezza ha approvato, lo scorso 30
giugno, la proposta di un piano di conciliazione per svendere di fatto alla società Henreaux i terreni non di sua proprietà (da sentenza sugli usi civici) in cui estrae marmo. Il voto ha seguito di poco la conclusione del Provvedimento autorizzativo unico regionale (PAUR) che consente alla stessa Henraux di scavare oltre 500.000 metri cubi ulteriori di montagna in dieci anni, aggravando la grave distruzione del Monte Altissimo che ha già comportato lo sbassamento del Picco di Falcovaia oltre all’interruzione dello storico sentiero 31: due decisioni inaccettabili a vantaggio di interessi privati e a danno di quelli di una comunità locale che invece avrebbe dovuto essere tutelata dai propri amministratori, sia comunali che regionali, non solo dal punto di vista della salvaguardia ambientale ma anche da quello del proprio interesse economico.
Non meno grave la procedura di PAUR (provvedimento autorizzatorio unico regionale) per la Cava Castelbaito Fratteta, nel comune di Fivizzano, in fase conclusiva, la quale, come da documentazione del proponente (Marmi Walton Carrara), prevede un aggravio del transito di camion sulla viabilità comunale e provinciale, per un totale di 27 viaggi al giorno di camion contenenti blocchi (7) contro quelli di inerti(20) che transiteranno nella strada per Campocecina, in Comune di Carrara. Con buona pace della vocazione turistica di quella zona, sarà necessario lo spostamento del sentiero CAI 174 (perché ovviamente la priorità è l'attività estrattiva!) e la sezione locale di Carrara ha un proprio Rifugio che sicuramente sarà fortemente penalizzato dal transito industriale.
2-Progetto di una nuova funivia fra la Doganaccia e il lago Scaffaiolo
Si tratta di una idea incomprensibile, irrazionale, ai limiti dell’assurdo. La zona è famosa per i forti venti, e già la funivia esistente ne sopporta i disagi con frequenti interruzioni. Pensare allo sviluppo dello sci invernale su pista è anti storico, tutto il mondo afferma che pensare a impianti per lo sci sotto i 2000 m, è un debito certo per la comunità, lo sapete bene per i significativi contributi pubblici dati anche quest’anno ad Abetone. In inverno, a causa delle condizioni climatiche nevica meno e quando avviene l’innevamento è più breve; in questo progetto esistono altri problemi già denunciati in un altro documento, dovuti alle oggettive difficoltà di collegamento con le piste di sci del versante emiliano in una zona ad altro rischio di ghiaccio, cioè pericolosissimo. Per conoscenza negli ultimi due anni si segnala che quel luogo resta innevato pochi giorni all’anno e le basse temperature della notte, che scendono sotto zero, determinano un’abbondante formazione di ghiaccio, rendendo il luogo inadatto al passaggio degli sciatori. Strade di servizio, scavi per la posa di cavi elettrici, basi di cemento armato e stazioni di partenza e arrivo, quando progettati, saranno assieme ai rimodellamenti delle superfici necessarie, veicoli di erosione e modificazioni idrogeologiche da un lato e di alterazione permanente del paesaggio e dell’ambiente dall’altro.
I problemi di viabilità e parcheggi non sono stati neppure valutati e saranno certamente un problema non indifferente. In estate, la zona è già abbondantemente sovrappopolata e aumenteranno sicuramente i rischi di esporre altre persone, meno preparate a causa della facilità d’accesso al luogo, ai pericoli inevitabili e alle variazioni meteo senza avere soluzioni per offrire ripari adeguati. Non è una prospettiva né ragionevole e né accettabile.
3-Impianti eolici sul crinale dell’Appennino
La Toscana, dopo la decisione di autorizzare l’impianto industriale nel Mugello sul crinale principale dell’Appennino, polmone fondamentale per l’assorbimento di CO2 che così sarà pesantemente cementificato perdendo la sua efficacia, è individuata, evidentemente, come terra di conquista da parte degli imprenditori del settore. Con numerose altre proposte.
E’ falso ritenere che soluzioni di transizione energetica (pur essendo necessaria) siano la soluzione alla crisi climatica, considerando che, questo aspetto è “solo” il 30% del problema. L’intenzione di non prendere in considerazione l’impatto ambientale (valutazioni ridotte al minimo, anche meno) è aberrante e sottostimare l’impatto paesaggistico, che sarebbe addirittura tutelato dalla costituzione, con torri che sono alte il doppio del campanile di Giotto con visibilità a decine di km di distanza, è un errore macroscopico e annulla inevitabilmente l’attuale grande interesse turistico. Non entriamo in merito ora, non perché meno importanti, ai danni prodotti per la cantierizzazione, per costruire l’accesso a luoghi distanti dalla normale viabilità e per l’aumento dei rischi alluvionali a valle dovuti alla trasformazione di migliaia di metri cubi di terreno in cemento, annullandone la funzionalità di assorbimento delle acque piovane. La prospettiva è quella che si è verificata in alcune regioni meridionali, martirizzate, dove l’energia prodotta è minore di quella stimata, gli impianti hanno grandi problemi di funzionamento e l’ambiente completamente devastato e infrequentabile.
Avete ora scelte importanti su progetti che coinvolgono la Val Tiberina e la Val Marecchia (complessivamente 52 enormi torri) dove le aziende propongono soluzioni inaccettabili, in autonomia, in totale assenza di coordinamento e di qualsiasi pianificazione della gestione del territorio. Sono zone, anche qui come nel Mugello, ad alto rischio idrogeologico.
Queste aziende si comportano come se, in nome della transizione energetica, possono avere la certezza di fare quello che vogliono, senza ostacoli.
Abbiamo citato i casi più gravi, ma cosa dire delle proposte di fare una strada forestale nell’Orrido di Botri (forse l’ambiente naturale più suggestivo della Regione), dell’idea di asfaltare il crinale del Pratomagno fino alla croce di vetta in zona completamente disabitata, e altri. Sullo sfondo un’idea diffusa, del fare a qualsiasi costo, trasformando luoghi fragili in zone simili alle invivibili città: qui il turismo di massa porta solo danni, e va incoraggiato e sviluppato un turismo lento ed educato. Per noi lo sviluppo della montagna deve avvenire nei paesi e nei luoghi dove le persone abbiano la possibilità di rimanere, lavorare e vivere decorosamente. Bisognerebbe orientarsi su altri obiettivi quali sono la promozione turistica e delle strutture locali, la produzione dei prodotti tipici, lo sviluppo di reti di sentieri sicuri fruibili, riprendere la manutenzione del territori, la prevenzione idrogeologica e la gestione dei boschi, abbandonati da decenni.
Riteniamo che sia necessario rivedere il modo recente di rapportarsi con la valutazione di impatto ambientale, che non deve bloccare ogni iniziativa ma neppure deve essere aggirata o addomesticata, e non accettare il principio attuale di andare avanti “senza se e senza ma”.
Chiediamo pertanto che gli impatti di cui sopra vengano attentamente valutati trovandoci spesso in aree protette di grande valore con endemismi delicati e da proteggere, Il CAI è pronto a dare il suo contributo in queste valutazioni con i suoi più qualificati soci.
Va rifiutato il pensiero del vice presidente della Confindustria Nazionale che afferma “la montagna è un drive per lo sviluppo industriale”. Per noi un terreno di conquista indisponibile e uno spregio al futuro di tutti. Le conseguenze della trasformazione di aree naturali in zone industriali, l’occupazione irreversibile e irragionevole del suolo sono l’origine principale della crisi climatica e delle tragedie che ne conseguono.
E’ necessario che la politica, che rappresenta la comunità, recuperi il governo efficace di proposte che vanno contro l’interesse primario di tutti. Se la Regione Toscana arretra invece di avanzare, come pensa di raggiungere l’obiettivo sulla biodiversità per il 2030 posto dall’ Unione Europea, che raccomanda di estendere al 30% del territorio terrestre e marino le Aree Protette entro quella data? Siamo una Regione che non ha istituito nuove Riserve Naturali
negli ultimi 10 anni e che ha cancellato le ANPIL, Aree Naturali Protette di Interesse Locale, ponendole al di fuori dei sistemi regionali e nazionali delle Aree Protette, indugiando nel consumo di territorio e in un modello di sviluppo non più sostenibile.
Non vogliamo un ambiente idilliaco e irreale, ma che lo sviluppo debba essere sempre
confrontato con la sostenibilità.
Non a caso la tutela dell’Ambiente è
ora a pieno titolo un
diritto costituzionalmente garantito, e noi rivendichiamo questo diritto, affinché la Regione Toscana lo persegua nell’interesse di tutti.
Gli errori del passato dovrebbero insegnare, per non ripeterli.
Cordiali saluti
Il Presidente
(Giancarlo Tellini)
Firenze 07/07/2023